Elio Loffredo

"Pittore in Porto S. Stefano  - Monte Argentario"

 

Articoli di vita di mare

Il mio paradiso delle Azzorre

 

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MONTE ARGENTARIO — La vita del marinaio è dura, ma è anche ricca di avventure. Chi è quel marinaio che non ha nei suoi ricordi un fatto che gli è rimasto impresso. Elio Loffredo racconta che nel settembre 1958 era imbarcato sulla motonave «Argentario», battente bandiera panamese, con la qualifica di secondo macchinista. L'equipaggio era formato da 18 persone, di cui 13 di porto S. Stefano e tra questi vi erano cinque vogatori del Palio Marinaro. «Avevamo caricato a Livorno — spiega Elio Loffredo — 3500 tonnellate di grano duro della Maremma per trasportarlo a tre isole delle Azzorre (Fayal, S. Miguel e Santa Maria). Dopo una brutta navigazione la nave giunse nel porto baleniero di Horta (Isola di Fayal), ma per una divergenza di ordine burocratico e commerciale riguardante il noleggio per conto del governo portoghese, la nave rimase ferma in quel porto una ventina di giorni. Prendemmo confidenza con quella gente e, per divagarci, organizzammo regate remiere tra santostefanesi e pescatori locali, poi decidemmo di organizzare un torneo di calcio a due squadre: una formata d marittimi santostefanesi e chiamata Argentario come il nome della nave e l'altra locale «Horta», formata da tutti pescatori, nella maggior parte balenieri o figli di balenieri, che giocavano a pallone scalzi. Vi posso assicurare che si giocava in un bel campo, di sicuro molto imiglio-re del nostro. L'equipaggio era appassionato di'spl/rt, tan- f to è vero che sulla poppa avevamo fissato la «pera del pugile» e con tre paia di guantoni, a turno ci divertivamo nelle ore libere. La vita giornaliera si svolgeva così: al mattino pulizia e manutenzione ordinaria a bordo; nel pomeriggio partita di calcio con mezzo paese di spettatori. La sera si andava in giro in paese e per l'isola, con soventi inviti da parte di tutti (cenette e festicciole da ballo) spendendo poco e niente. Noi potevamo tener testa alla squadra sul piano fisico, ma non su quello del gioco così la maggior parte delle volte perdevamo. Quando giunse l'ordine di scaricare il grano ci rendemmo conto che era finita la pacchia e riprendemmo il nostro tran tran di rateatimi, tr andando a terminàreno scari-co nelle altre isole. L'avvenimento un po' anomalo ci lasciò tutti rallegrati e se ne parlò a lungo durante le successive navigazioni. Nell'isola abbiamo lasciato anche un dipinto a smalto su di una grossa pietra verticale, interna al frangiflutti, raffigurante la nostra nave, e circondata dalle firme dell'equipaggio. Dopo circa 25 anni due velisti santostefanesi che, diretti nei Caraibi hanno fatto sosta in quel porto, hanno raccontato di aver notato ancora intatto quel dipinto con tutte le firme leggibili, e quindi sarà sempre lì a testimoniare il ricordo lasciato dai marinai santostefanesi in quelle lontane isole».

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